Nell’ultimo intervento si è cercato di fornire una panoramica della disciplina del diritto d’autore in Italia e si è visto come la fonte normativa principale sia la Legge n. 633 del 22 aprile 1941, meglio conosciuta come Legge sul Diritto d’Autore.
Tuttavia, la Legge sul Diritto d’Autore in realtà non si occupa della sola tutela delle opere dell’ingegno ma prevede altresì due articoli (precisamente il 96 e il 97) espressamente dedicati alla protezione del diritto all’immagine. Ma procediamo per gradi.
Analogamente a quanto accaduto con le opere dell’ingegno, il continuo sviluppo tecnologico e la posizione ormai centrale e imprescindibile di internet nella vita quotidiana di ciascuno di noi hanno giocato un ruolo fondamentale nel conferire al diritto all’immagine una rilevanza sempre più crescente.
Le ragioni sono evidentemente varie. La prima attiene a ovvie esigenze di riservatezza della sfera privata del singolo individuo, sempre più di frequente esposta ad ingiustificate intrusioni esterne.
La seconda, non meno rilevante, riguarda il valore economico che l’immagine può assumere a seconda della notorietà dell’individuo. Tanto più famoso e riconoscibile sarà il soggetto, maggiore infatti sarà la capacità di monetizzarne l’immagine.
Diritto all’immagine, la definizione
Fino a qui tutto chiaro. Ma per quanto possa apparire banale, il perimetro e i confini del diritto di immagine non sempre risultano così scontati e sarà quindi opportuno fare una breve ricognizione.
Il punto di partenza è la stessa definizione di diritto all’immagine, da intendersi come il diritto della persona a non vedere la propria immagine divulgata, esposta o comunque pubblicata, senza il suo consenso e fuori dai casi previsti dalla legge. Si faccia attenzione però che la definizione di “immagine” cui si riferiscono le norme riguarda esclusivamente il ritratto della persona e non invece l’accezione odierna del termine “immagine”, che include invece anche la reputazione, l’onore e l’identità personale (di cui parlerò in un separato intervento, data l’ampiezza della materia).
Più in particolare il diritto d’immagine viene inteso come tutto ciò che costituisce il segno distintivo essenziale diretto a rappresentare le sembianze, l’aspetto fisico di un soggetto, nonché l’espressione e il modo di essere dello stesso, essendo pertanto volto a garantire ad ogni individuo uno spazio di riservatezza in relazione alla propria vita ed a quelle caratteristiche della propria personalità che non intende divulgare a terzi o il cui sfruttamento commerciale la legge subordina al consenso del titolare.
In questo senso, già nel 1984 i giudici hanno accolto le domande del cantante Lucio Dalla, il quale contestava ad una società produttrice di apparecchi musicali l’utilizzo dell’immagine di uno zucchetto e di un paio di occhialetti a binocolo, sul presupposto che questi due oggetti costituivano gli elementi distintivi della sua attività artistica e che il loro uso senza autorizzazione per fini pubblicitari doveva ritenersi illecito.
Diritto all’immagine: le fonti normative
Per quanto riguarda la fonte normativa del diritto all’immagine nel nostro ordinamento, oltre che all’interno dei sopracitati articoli 96 e 97 della Legge sul diritto d’Autore, possiamo trovarla nell’art. 10 del Codice Civile che stabilisce l’illiceità dell’esposizione o della pubblicazione dell’immagine di una persona fuori dai casi consentiti dalla legge o comunque là dove tale riproduzione arrechi pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona stessa.
Coerentemente con quanto previsto dal Codice Civile, gli artt. 96 e 97 della Legge sul Diritto d’Autore precisano che il ritratto di una persona non può essere riprodotto senza il consenso di questa, salvo che la riproduzione sia giustificata dalla notorietà o dall’ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali, o quando la riproduzione sia collegata a fatti di interesse pubblico o svoltisi in pubblico.
Come già anticipato, nell’ordinamento italiano il diritto all’immagine rappresenta una delle espressioni del diritto alla riservatezza. È per questo motivo che fino a qualche anno fa ci si è anche interrogati sulla possibilità che la tutela di tale diritto potesse trovare asilo anche all’interno della normativa che protegge i dati personali dell’individuo.
Sebbene gli studiosi della materia e alcune pronunce giurisprudenziali abbiano in passato espresso pareri contrastanti, l’entrata in vigore del Regolamento UE n. 697/2016 (meglio noto come “GDPR”) ha fugato ogni dubbio al riguardo e ad oggi la pubblicazione dell’immagine altrui senza l’espresso consenso dell’interessato può in astratto configurare anche la violazione del diritto alla riservatezza dei propri dati personali ai sensi di quanto disposto dal Codice Privacy e dal GDPR, i quali, tutelando qualsiasi segno evocativo dell’identità personale, estendono espressamente il loro ambito applicativo anche alla riproduzione e alla diffusione dell’immagine dell’individuo.
In definitiva, possiamo agevolmente affermare che l’utilizzo dell’immagine altrui deve ritenersi sempre lecito in presenza del consenso dell’interessato oppure, al ricorrere di determinate condizioni, anche senza il consenso di quest’ultimo.
Diritto all’immagine: il consenso dell’interessato
Per quanto riguarda il consenso, si segnala che una ormai non troppo recente (e certamente discutibile) pronuncia della Cassazione ha però stabilito che tale consenso sia sempre revocabile da parte dell’interessato. A farne le spese in quel caso è stata una nota azienda italiana di torrefazione del caffè che, nonostante avesse versato un lauto compenso a una modella per partecipare ad una campagna pubblicitaria, anni dopo si è vista poi revocare il consenso all’utilizzo della propria immagine da parte della stessa modella, trovandosi quindi nell’impossibilità di proseguire con l’utilizzo della campagna pubblicitaria già realizzata.
Consenso dell’interessato che i giudici hanno ritenuto necessario anche quando il soggetto ritratto sia il sosia di una persona nota e, in virtù della particolare somiglianza, il pubblico possa essere indotto a ritenere che la persona ritratta sia il soggetto noto e non invece il suo sosia. Il caso riguardava l’utilizzo della silhouette dell’attrice Audrey Hepburn (protagonista della fortunata pellicola “Colazione da Tiffany”) interpretata da una sosia nell’atto di osservare la vetrina di una gioielleria.
Per quanto riguarda invece la pubblicazione dell’immagine senza il consenso dell’interessato l’interpretazione fornita dai giudici non è sempre stata lineare e una serie di esempi pratici ci aiuteranno a comprenderne meglio i confini.
Pubblicazione dell’immagine senza il consenso
In primo luogo, la diffusione dell’immagine altrui in assenza del consenso del titolare deve ritenersi sempre illecita quando tale diffusione avviene per finalità commerciali. Ciò che si vuole evitare è che il personaggio ritratto diventi a sua insaputa il testimonial pubblicitario di un determinato prodotto o servizio di un’azienda.
In questo senso, la categoria maggiormente coinvolta è stata quella dei calciatori: da Sandro Mazzola ai calciatori della Juventus, l’esperienza giurisprudenziale annovera un’elevata casistica di tentativi di sfruttamento illecito dell’immagine di calciatori i cui ritratti, benché relativi a personaggi noti fotografati nell’ambito di manifestazioni pubbliche, venivano indebitamente associati a prodotti commerciali non autorizzati.
La pubblicazione dell’immagine altrui è invece lecita, pur in assenza del consenso dell’interessato, quando la stessa abbia ad oggetto fatti, avvenimenti e cerimonie di interesse pubblico, ancorché svoltisi in luoghi privati. Il presupposto, dunque, risiede nell’interesse pubblico all’informazione, per il quale viene sacrificato il diritto del singolo alla propria immagine. Inoltre, la pubblicazione delle immagini che ritraggono un soggetto è lecita qualora questa attenga a fatti di qualsiasi natura che si siano svolti in pubblico e purché ricorra comunque un interesse pubblico all’informazione e vi sia una forma di consenso anche implicita purché inequivoca.
Quest’ultima ipotesi trova la sua giustificazione da un lato nel fatto che la scelta da parte del soggetto di tenere un determinato comportamento in un contesto pubblico implica una effettiva rinuncia a ritenerlo riservato e dall’altro presuppone che non vi sia un atteggiamento incompatibile con la volontà di vietare la ripresa e diffusione della propria immagine, come avviene ad esempio nel caso del selfie in cui il soggetto ritratto posi insieme al fotografo.
I casi e le interpretazioni
A tal proposito, si rileva che la nozione di tali circostanze sembra oggetto di una interpretazione piuttosto estensiva da parte dei giudici italiani. Nel 2013, ad esempio, la Corte di Cassazione ha rigettato la domanda risarcitoria di un soggetto che lamentava di essere stato ripreso per brevissimo tempo alla stazione di Milano, in mezzo ad una eccentrica folla di passeggeri che, in treno, si stava recando al Gay Pride di Roma: in quella occasione la Corte ha chiarito che il concetto di avvenimento o cerimonia di interesse pubblico deve essere inteso in senso ampio, in modo da ricomprendere tutto ciò che attiene in via immediata e diretta con all’evento stesso.
Ugualmente, il Tribunale di Milano ha ritenuto lecita la pubblicazione di alcuni scatti fotografici ritraenti una giovane coppia di rampolli appartenenti a due notissime casate nobiliari che, all’uscita da un locale in Versilia, si trovavano in evidente stato di alterazione dovuto all’alcol (le didascalie delle foto li descrivevano come “sudati”, “stravolti” e “inebetiti”). In questo caso, i giudici hanno ritenuto che l’interesse pubblico a conoscere della condotta dei due personaggi noti fosse prevalente rispetto al loro diritto alla riservatezza.
Di diverso avviso è stato invece il Garante Privacy che, in un noto caso scandalistico che coinvolse un membro dell’entourage governativo nel 2007, fotografato su un viale di Roma mentre accosta in auto una prostituta transessuale. In quell’occasione, il Garante ha ritenuto che la pubblicazione violasse il diritto alla riservatezza del politico poiché le fotografie erano state realizzate attraverso tecniche invasive e/o mezzi tecnici al fine di vincere la ritrosia del soggetto a farsi fotografare (il discrimine in questo caso risiedeva nel fatto che il fotografo aveva utilizzato un teleobiettivo e aveva scattato la foto da dentro la propria automobile e avendo cura di non essere visto dal soggetto ritratto, escludendo così la possibilità di rinvenire, nel comportamento del politico, un consenso implicito alla sua diffusione).
Parimenti, il Tribunale di Milano ha ritenuto illecita la pubblicazione di alcuni scatti ritraenti una nota giornalista mentre prendeva il sole totalmente nuda sul bordo della piscina della propria abitazione. Fotografie che erano però state realizzate con l’ausilio di teleobiettivi e che ritraevano la giornalista all’interno delle proprie mura di casa. In quel caso, il Tribunale meneghino ha affermato che costituisce violazione del diritto alla riservatezza l’utilizzo, consistente nella diffusione a mezzo stampa, di immagini attinenti alla vita privata indebitamente carpite in luogo privato con strumenti professionali.
In maniera simmetricamente opposta ha invece deciso la Corte di Cassazione in un caso del 2006, relativo alla pubblicazione di fotografie di una nota attrice televisiva ritratta in topless mentre si trovava su una spiaggia affollata. In questo caso, la Corte ha ravvisato un evidente consenso implicito da parte del soggetto ritratto e il corrispondente interesse pubblico dettato dalla notorietà dello stesso personaggio.
Con riferimento invece alle persone non note, la Cassazione ha di recente confermato che è risarcibile il danno all’immagine di un passante ritratto, senza suo consenso, durante le riprese in luogo pubblico di un videoclip musicale, quando non sussiste una delle condizioni previste dall’art. 97 della Legge sul Diritto d’Autore (cioè notorietà, necessità di giustizia o di polizia, scopi scientifici, didattici o culturali, o quando la riproduzione sia collegata a fatti di interesse pubblico o svoltisi in pubblico).
Un curioso (seppure un po’ macabro) caso in cui è stata riconosciuta l’operatività dell’esimente delle finalità divulgative e scientifiche riguarda l’ostensione al pubblico all’interno di un complesso catacombale di una salma imbalsamata (e precisamente della c.d. “bella addormentata di Palermo”) e la concessione a terzi della possibilità di realizzarne riprese fotografiche e audiovisive che il Tribunale di Palermo ha ritenuto non fosse in violazione dei diritti d’immagine del defunto perché giustificate da un interesse culturale e scientifico alla conoscenza e diffusione di informazioni sulle tecniche utilizzate per la preservazione del corpo.
Quelli sinora esaminati sono tutti casi che riguardano l’immagine delle persone fisiche. Ma cosa succede quando viene utilizzata l’immagine di un luogo o addirittura un monumento? A chi spetta il diritto di fornire il consenso?
Si tratta di un tema sicuramente complesso, al quale però cercherò nei prossimi interventi di fornire una soddisfacente risposta.