La guerra in Medio Oriente ha suscitato reazioni in tutto il mondo, con persone che si sono riunite nelle piazze e giovani che hanno occupato i cortili delle università. Le manifestazioni però sono arrivate anche sui social-media e, dopo l’attacco a Rafah, le proteste non si sono limitate all’espressione del proprio pensiero ma è nato un vero e proprio movimento di aggregazione per boicottare tutti quei personaggi famosi che non hanno denunciato gli attacchi di Israele. O non hanno espresso messaggi per la pace sui propri account.
#Blockout2024, com’è nato il movimento
Il movimento è nato su Tiktok, quando lo scorso 6 maggio in occasione del Met Gala la modella e content-creator Haley Kalil, presente come ospite all’apertura dell’evento, ha pubblicato un video in cui sincronizzando le labbra pronunciava la frase “Che mangino brioche” attribuita alla regina Maria Antonietta (rivolta al popolo affamato durante una protesta contro le disuguaglianze tra i poveri e l’aristocrazia nel periodo della Rivoluzione francese). E ripresa dalla modella per evidenziare la differenza tra il lusso del Met Gala e le tragedie che si stanno consumando in Palestina.
Il contenuto ha suscitato diversi consensi e nei primi minuti dopo la pubblicazione tante persone hanno accostato la frase alla guerra sulla striscia di Gaza, anche perché nella stessa serata a New York si è svolta una manifestazione con attivisti filo-palestinesi contro l’attacco a Rafah da parte di Israele. Successivamente il contenuto di Kalil è stato ripreso dalla content-creator Rae, che ha invitato gli utenti di tutti i social-media a togliere la preferenza ai personaggi famosi che non si sono espressi contro i bombardamenti a Rafah, con l’hashtag #Blockout2024. In poche ore l’invito è diventato virale e tante persone hanno aderito all’appello, smettendo di seguire chi non ha preso posizione per la pace e condividendo l’hashtag. L’obiettivo del Blockout2024 è quello di causare delle perdite di follower alle celebrità e di conseguenza una riduzione di visibilità e di entrate da parte degli sponsor. Personalità note come Kim Kardashian, Selena Gomez e Talylor Swift sono state prese di mira perché secondo gli aderenti al Blockout2024 non avrebbero sfruttato la propria influenza per un cessate il fuoco.
Oltre alle reazioni di consenso, la storia di Kalil ha suscitato anche tante critiche e alcuni spettatori del Met Gala si sono sentiti offesi. Così poco l’ex modella ha fatto marcia indietro correggendo il tiro del proprio messaggio, anche se il movimento aveva registrato adesioni e ormai Kalil veniva identificata come colei che ha dato il via alle proteste su social-media.

Chi ha aderito al movimento
Fra gli aderenti al movimento ci sono soprattutto persone appartenenti alla Generazione Z, cioè di età compresa tra 14 e i 29 anni, che in queste ultime settimane hanno fatto sentire la propria voce manifestando in presenza. Anche in Italia c’è chi si è schierato apertamente con i valori del Blockout2024. Come il cantante Ghali, che il 6 maggio scorso ha condiviso una storia esprimendosi contro il silenzio sulla crisi in Palestina durante il Met Gala. “Il Met Gala senza una parola sulla situazione in Palestina rappresenta solo una distrazione”, aveva scritto l’artista in lingua inglese su Instagram. “Nessuno -aveva continuato- ha detto una parola su ciò che sta succedendo in quella terra. Fanculo i vostri vestiti. Eravate lì come degli zombie, a dannarvi per raccogliere qualche briciola di fama caduta da un tavolo più in alto di voi. Smettetela di usarci solo quando vi facciamo comodo. Teniamo gli occhi puntati su Rafah”.
In questa settimana sui principali social-media sono continuate le proteste contro gli attacchi di Israele e oltre all’hashtag Blockout2024, sono nate pagine e gruppi anche con le voci #celebrityblockout o #blockoutforpalestine.

Le vittime del blockout2024
Con l’avvio del movimento in tanti hanno deciso di smettere di seguire le celebrità che non hanno preso posizione. La protesta non ha risparmiato alcuna categoria: attori, cantanti e personaggi famosi in generale. Secondo i primi risultati di Social Blade, Kim Kardashian, stella della tv e influencer, è stata la persona che ha perso più follower di tutti (780mila su Instagram), seguita dalla cantante Beyonce, (689mila followers in meno su Instagram), Kylie Jenner (540mila in meno su Instagram e 53mila su X). Non è la prima volta che nascono gruppi per boicottare dei personaggi famosi, ma nel caso del Blockout2024 il boicottaggio non avviene attraverso l’acquisto di prodotti ma con gli strumenti tipici dei social-media come le adesioni alle pagine. Poi, il fatto che sia nato su Tik Tok, indica sia il grado di partecipazione dei giovani nelle questioni internazionali che la loro propensione a guardare video piuttosto che vedere foto su Instagram o leggere testi su Facebook.

Il movimento tra successi e limiti
Se è vero che il movimento Blockout2024 ha registrato adesioni in tutto il mondo, ad oggi non ha un vero e proprio leader. Innanzitutto perché è nato da un errore involontario di Haley e poi perché sull’ondata emotiva del momento sono nate tante pagine ma nessuna rappresenta la voce ufficiale del gruppo.
Poi, rispetto a ciò che si può vedere alla televisione o leggere sui giornali, l’espansione del movimento non ha scoperto nulla di nuovo e sugli account pubblici si possono leggere solo post di protesta. Quanto alle celebrità tirate in ballo, è vero che hanno perso follower (e per personaggi che guadagnano fino a 1milione di dollari a post può essere un campanello di allarme) ma questa perdita non ha inciso sulle loro collaborazione.
Il Blockout2024 ha comunque generato dibattito e, com’è facile immaginare, c’è chi si è schierato contro. Tanti hanno criticato il movimento perché rappresenta un’ideologia estrema secondo la quale occorre esprimere per forza il proprio pensiero. Ma le critiche sono arrivate anche da parte di persone filo-palestinesi che criticano i gesti degli aderenti perché secondo loro le manifestazioni di protesta si dovrebbero concentrare non tanto su ciò che dicono le celebrità ma sui fatti che avvengono sul campo. E valorizzando le iniziative a supporto della popolazione colpita attraverso operazioni di beneficenza e programmi di crowfounding.