Avvocato esperta del diritto applicato alle nuove tecnologie, al marketing e ai social network. Ha maturato la propria esperienza come consulente per le attività svolte nel mondo digitale, curando la contrattualistica e gli aspetti relativi a GDPR, proprietà industriale ed intellettuale.
È particolarmente attiva nella divulgazione delle nuove normative che regolano il web attraverso il proprio canale IG @theblondlawyer e come relatrice ospite a webinar, eventi, convegni e corsi universitari.
Vuole diffondere la consapevolezza dei diritti – soprattutto digitali – e crede fermamente che la conoscenza sia il primo passo verso una legalità diffusa.
L’abbiamo intervistata e questo è quello che ci ha raccontato.
Nelle settimane passate c’è stato un confronto aspro tra Selvaggia Lucarelli e un avvocato che secondo la giornalista non sta facendo un’attività promozionale in modo chiaro. Al netto del caso specifico come si deve comportare un avvocato quando collabora con delle aziende su IG? A quali linee guida (es: hashtag #adv) deve attenersi?
Sui social si fa sempre un bel parlare delle modalità migliori per raggiungere il proprio pubblico, tuttavia, i nuovi professionisti digitali come anche molti professionisti “analogici adattati al digitale” – se non ordinistici – non devono tener conto di un elemento: il codice deontologico.
Esso, e mi riferisco a quello degli avvocati, da un lato è molto chiaro sul punto, dall’altro, però è difficilmente declinabile all’interno dei nuovi mezzi di comunicazione. A riguardo e personalmente, nel caso in cui io abbia un dubbio se una certa attività che mi viene proposta sia o meno in linea con le prescrizioni deontologiche relativamente ai limiti tra dignità e decoro della professione stabiliti dall’art.35 del Codice Deontologico degli Avvocati preferisco, gentilmente, declinare la collaborazione. Il motivo è semplice: ho profondo rispetto per la professione che rappresento.
Nel caso in cui ci si sia accertati che una certa attività, anche in collaborazione con aziende, possa essere deontologicamente lecita, è chiaro che l’avvocato, come e maggiormente rispetto a chiunque altro, deve attenersi ai principi di trasparenza e correttezza dell’informazione commerciale. A questi principi, anche se non obbligatoria per legge, attengono le indicazioni che possiamo trovare nella Digital Chart, un regolamento promosso dall’Istituto Autonomo della pubblicità (e che i miei clienti e follower ormai conoscono bene!)
La prescrizione dell’utilizzo degli hashtag, sebbene non necessariamente obbligatoria (vi sono pattiziamente obbligati gli associati IAP e coloro che collaborano con essi), potrebbe diventare, col tempo, un uso (– intendendolo ai sensi dell’art. 1, n.4) delle preleggi, cioè come fonte normativa – del mondo digitale.
Una delle coppie più forti dell’edizione di Pechino Express è quella formata da 2 avvocate. Perché, secondo lei, questa tipologia di professionisti è molto ricercata dall’utenza in generale, sia quella social che tv ad essa collegata?
Probabilmente perché, emblematicamente, la figura dell’avvocato è piuttosto distante dallo star system e quindi vi è particolare curiosità a riguardo.
L’altro grande tema d’attualità è la validità dei divulgatori social. Un utente come fa a capire che l’avvocato che inizia a seguire è effettivamente competente?
La questione non riguarda solo gli avvocati ma, probabilmente, tutti i divulgatori. Le variabili per stabilire l’effettiva competenza di un professionista sono molteplici – anche nel mondo analogico – e difficilmente riconducibili a situazioni schematizzate. Credo però che sia necessario, in primis, attivare il proprio senso critico, anche in assenza di conoscenza profonda e specifica della materia.
In secundis, sarebbe opportuno verificare la qualità dell’informazione e dei contenuti condivisi mediante ricerche incrociate su vari siti e testate (chiaramente nel caso di argomento di particolare interesse). Nel caso di un avvocato poi, ritengo che il rispetto dei valori deontologici già chiarito sia dirimente per stabilirne la professionalità e competenza, oltre la probità nell’esercizio del proprio ministero.